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I fotografi a dorso di mulo

 

Salvatore Zito

 

 

 

 

SICILIA SENZA TEMPO

I FOTOGRAFI A DORSO DI MULO

Si stima che in Europa nel periodo di maggior popolarità della fotografia, intorno agli anni 80 del XIX Secolo, furono realizzate milioni di stampe di cui, secondo Pierre Sorlin [1],  “i quattro quinti delle foto scattate nel XIX Secolo siano state ritratti” realizzati all’interno di studi fotografici. Solo un quinto quindi dell’intera produzione fotografica riguardava altri soggetti o riprese in esterno. Da ciò ne consegue una certa rarità delle stampe fotografiche che non siano di ritratto, risalenti a quel periodo .

La Sicilia, naturalmente, fa parte anch’essa di questo approssimativo ma significativo resoconto statistico di grandi numeri ma, riferendoci alla nostra Isola, è interessante osservare il fenomeno fotografia anche sotto   l’aspetto sociale, relativo all’interesse culturale per la fotografia e sotto l’aspetto storico e ambientale per non tralasciare nulla, nel tentativo di ricostruire oggi uno spaccato di storia attraverso ciò che le stampe fotografiche riescono a narrare anche e soprattutto per le interessanti vicende umane che si celano dietro i reperti in mostra. In quale contesto si muovevano i fotografi di fine Ottocento in Sicilia? Su quali strade, con quali mezzi, chi erano i contatti nei luoghi di interesse?

Tralasciando il breve periodo dei dagherrotipi realizzati alla luce del sole siciliano, si può datare l’inizio dell’uso della fotografia per le riprese paesaggistiche in Sicilia al 1846, anno in cui, scrive Paolo Militello, “un prete anglicano, il reverendo George Wilson Bridges, visita la Sicilia portando con sé un oggetto per quei tempi insolito: una macchina fotografica. Alcuni luoghi e città dell’isola vengono così per la prima volta immortalati con un nuovo rivoluzionario sistema di produzione di immagini dall’eccezionale valore documentario” [2].

Nel 1846 e fino ai primi anni del XX Secolo quando per la prima volta i luoghi classici della Sicilia si trovarono catturati a testa in giù, dentro il riflesso rovesciato visibile da sotto uno spesso telo nero sui vetri smerigliati di pesanti ed ingombranti apparecchi fotografici, non esistevano le comode vie di comunicazione di oggi ma polverose “trazzere” a malapena percorribili.

Nel saggio di Biagio Santagati si descrivono così : “Le trazzere erano costituite, perlopiù, da tracciati spesso appena abbozzati, che percorrevano vallate, pianure e montagne nella maniera più retta possibile senza tenere gran conto di pendenze e corsi d’acqua ed adatte, principalmente, ad essere percorse solo da sparuti viaggiatori e mercanti a cavallo o trasportati da lettighe, da interminabili retine o redine (file) di muli tra loro legati a sei a sei e condotti da un bordonaro cariche di mercanzie, slitte (tregge o straule) cariche di prodotti agricoli e da greggi, quasi sempre di capre e pecore,… (omissis)

….Le Regie Trazzere più importanti, a volte dette anche montagna-marine se univano centri marinari con località interne, che collegavano i centri maggiori dell’Isola, ad esempio l’asse Catania - Palermo passante per Enna, Villarosa e Vicari, oppure l’asse Palermo – Caltanissetta - Piazza Armerina – Mineo - Siracusa oppure Palermo - Trapani e Palermo - Agrigento o ancora gli assi costieri Palermo - Messina e Catania – Messina - Siracusa - Noto, erano dotate ad intervalli abbastanza regolari ed in prossimità dei centri abitati, di fondachi o fondaci dall’arabo fundaq, grosse costruzioni adibite a ricovero e vettovagliamento prevalentemente di bestie e soprattutto mercanzia. Il ricovero degli uomini, diremmo oggi, era invece un optional.[3]

Ne consegue che anche i fotografi  dovettero necessariamente spostarsi a dorso di mulo,  sia per le pesanti e ingombranti attrezzature fotografiche che trasportavano a seguito che per l’impossibilità di fruire di altri mezzi per affrontare questi piccoli viaggi in cui, tra l’altro, anche i briganti facevano la loro parte e con i quali,  prima o poi, il viaggiatore si sarebbe imbattuto.

Scomodità e rischi di veri e propri viaggi i cui tempi di percorrenza erano all’incirca di  ben due giorni e due notti per andare da Palermo a Siracusa passando per Girgenti.

“Nell’Italia post Unitaria la Sicilia era  considerata dal punto di vista della rete viaria in grave ritardo anche rispetto alla media nazionale. Il primo provvedimento è datato 30 marzo 1862: pochi mesi dopo, quindi, il raggiungimento dell'Unità nazionale.Questa legge emanava provvedimenti per dotare la Sicilia di una rete di strade nazionali sulle direttrici Palermo-Trapani, Palermo-Girgenti e S. Caterina-Siracusa.Un ulteriore provvedimento teso a migliorare la situazione siciliana risale invece al 1866: in sostanza, si poté passare nel giro di pochi anni dai 415 chilometri di strade nazionali presenti in Sicilia nel 1861, a 1002 chilometri complessivi.” [4]

“ Le trazzere e le carrozzabili furono presto affiancate dalla rete ferroviaria siciliana, anche questa giunta nell’Isola in notevole ritardo rispetto al resto d’Italia che già nel 1839  inaugurava nell’allora Regno delle Due Sicilie, la Napoli – Portici mentre, la prima breve tratta di strada ferrata in Sicilia fu realizzata nel 1863, quando vennero posati i binari tra il capoluogo Palermo e il vicino centro di Bagheria. Nel 1866 prese invece avvio la costruzione della seconda linea (la più trafficata della regione): la ferrovia Messina-Catania-Siracusa, completamente attivata nel 1871, e completata in tempi assai più brevi rispetto alla Palermo-Messina. La ferrovia Palermo-Catania iniziata nel medesimo periodo sfruttava il primo tratto originario tra Palermo e Bagheria per poi inoltrarsi nella Sicilia interna arrestandosi tuttavia alla stazione di Roccapalumba nei pressi dell'area zolfifera di Lercara Friddi con il preciso scopo di convogliare sul porto di Palermo il minerale estratto; nel 1869 si apriva il primo tratto tra Catania e Bicocca ed entro la metà del 1870 era attivo fino a Pirato (Leonforte); era questo il percorso che più interessava agli industriali dello zolfo per l'esteso bacino minerario di Grottacalda, Floristella e Sant'Agostino. In seguito, i lavori si estesero verso Enna e Santa Caterina Xirbi, raggiunte nell'estate del 1876, anch'esse interessate dalla ferrovia soprattutto per l'importanza delle attività estrattive delle miniere di zolfo di Villarosa e Imera nell'interno della Sicilia; il tratto Leonforte-Villarosa infatti venne costruito in subappalto da Robert Trewhella (il costruttore della Ferrovia Circumetnea) anch'esso grosso imprenditore zolfifero “ [5].

Per i fotografi in cerca di suggestioni paesaggistiche gli itinerari e le tappe continuavano comunque ad essere quelli dei Grand Tour di epoche pre-fotografiche e quindi Palermo, Segesta, Selinunte, Agrigento, Catania, Taormina  e Siracusa, risalendo fino a Messina con qualche variazione personalizzata, in dipendenza delle esigenze e dei gusti dei singoli fotografi-viaggiatori che a volte, specie dopo il 1860, andavano alla ricerca di luoghi di interesse di cronaca come Calatafimi.

Per concludere il quadro delle “infrastrutture” siciliane contemporanee alle attività conseguenti la scoperta della fotografia rimane la via del mare, ovvero la possibilità di spostarsi da un luogo all’altro della costa su navi e barche, forse più comode dei muli ma con altre immaginabili problematiche legate alle condizioni meteo marine di navigazione o al limite delle banchine portuali su cui si fermavano le ingombranti attrezzature nonché la totale assenza di imbarcazioni dedicate al trasporto di viaggiatori e quindi la condizione inevitabile di doversi adattare a qualsiasi situazione di viaggio.

Giuseppe Moricola descrive così la marineria di fine Ottocento, in crisi per l’avvento dei trasporti ferroviari: “In effetti con l’avvento della ferrovia si realizzò una sostanziale riconsiderazione dell’incidenza del problema ferroviario sui destini delle piccole marinerie locali ed in effetti non mancarono alcune realtà, come Siracusa e Augusta in Sicilia che lanciarono forti grida di allarme sul ruolo assorbente delle ferrovie, ma il declino della già modesta flottiglia locale, in quei casi, sembra essere già segnato dall’affermazione di nuove gerarchie portuali rispetto alle quali le ferrovie non fanno altro che adeguarsi in funzione dei flussi di traffico” [6].

 

In questa cornice di infrastrutture poco funzionali agli spostamenti in genere si muovevano i fotografi per catturare le immagini di questa Sicilia giunte fino ad oggi ed esposte in infinitesimale parte in questa mostra.

Le copie in mostra, le cui date di realizzazione vanno dal 1870 ca al 1930 ca, sono tutte provenienti da collezione privata e sono opera principalmente di due categorie di professionisti: i fotografi siciliani con sede stabile in una città dell’Isola e quelli di oltre Stretto, spinti in molti casi da motivi commerciali e probabilmente coadiuvati da fotografi locali con i quali avevano probabilmente già instaurato qualche tipo di contatto.

 

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[1] Pierre Sorlin, I figli di Nadar. Il “secolo” dell’immagine analogica, Torino, Einaudi, 1997, p.15 

 

[2] Paolo Militello - Il Grand Tour fotografico in Sicilia del reverendo George Wilson Bridges (1846-1852), Roma, Viella editor. 2011 - Studia humanitatis - Saggi in onore di Roberto Osculati a cura di Arianna Rotondo, p. 385

 

[3] Biagio Santagati Viabilità e topografia della Sicilia antica, , Caltanissetta, Paruzzo Printer, 2006, p. 13 e 14   

 

[4] Fonte web: www stradeanas.it – le strade d’italia

 

[5] Fonte web: Wikipedia – Rete ferroviaria della Sicilia

 

[6] Giuseppe Moricola - A vela e a vapore- Economie, culture e istituzioni del mare nell’Italia dell’Ottocento, Roma,    Donzelli Editore, 2001, p.69

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